L’avviamento negativo rileva ai fini del registro sulla cessione di azienda

Principio
Nella determinazione del valore venale dell’azienda trasferita ai fini dell’imposta di registro, l’avviamento – in quanto qualità aziendale intrinseca richiamata dall’art. 51, 4° c., D.P.R. 131/86 – rileva non solo se positivo ma anche se negativo. In quanto tale, determina la pattuizione tra le parti di un prezzo di cessione inferiore al valore patrimoniale netto dei cespiti aziendali, perché scontato in ragione della fondata previsione di perdite future e del solo successivo recupero di redditività dell’azienda stessa.

L’avviamento costituisce una componente del valore di un’azienda e, tecnicamente, può essere positivo oppure negativo, in relazione alla capacità del bene di produrre reddito in un determinato arco di tempo. A tal fine, deve essere considerato ai fini del computo delle imposte, nel caso di specie quella di registro, in ragione dei principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva. Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 979, resa il 17 gennaio 2018.

Vicenda
Un contribuente ha presentato al Fisco una istanza di rimborso, concernente il maggior importo versato dell’imposta di registro. Esso, infatti, aveva acquistato un ramo di azienda, improduttivo nel breve arco temporale in virtù delle esistenti condizioni di fatto (c.d. valore negativo dell’avviamento).

Il Fisco ha respinto la predetta istanza di rimborso. I giudici tributari di merito hanno respinto le doglianze del contribuente. In particolare, il giudice del gravame ha precisato che il rimborso non era dovuto, in quanto l’imposta di registro viene calcolata sulla base del valore venale dell’immobile (valore dell’attivo patrimoniale di euro 1.593.000,00); per tale motivo il prezzo pattuito dalle parti, ovvero il prezzo scontato (euro 1.378.000,00) per l’aspettativa di future perdite in ragione del valore negativo dell’avviamento (indicato in atto in euro 215.000,00), non aveva rilevanza alcuna.

Pronuncia
Gli Ermellini con la pronuncia citata hanno accolto il ricorso presentato dal contribuente, poiché l’interpretazione offerta dalla commissione tributaria regionale si pone in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva, legittimando la tassazione di un bene per un valore eccedente quello reale.

In particolare, i giudici di legittimità hanno evidenziano che, sebbene non vi sia una vera e propria nozione di avviamento, questo deve essere inteso come una qualità intrinseca ed immateriale dell’azienda, che solitamente si concretizza in un maggior valore, correlato all’attitudine di generare profitto.

In sostanza, si tratta dell’organizzazione dei beni dell’azienda, finalizzata al conseguimento di un risultato economico. Peraltro, l’avviamento non ha sempre un valore positivo, ma di fatto può essere negativo, nell’ottica di una scarsa o assente produttività del complesso aziendale nel breve periodo. A tal fine, all’atto del calcolo dell’imposta di registro l’avviamento negativo deve essere sempre considerato, quando:

a) è stato decisivo ai fini della conclusione del trasferimento del bene;
b) è stato predisposto un fondo rischi ed oneri futuri, volto ad attutire le eventuali perdite ovvero l’avviamento risulta regolarmente iscritto, nel proprio bilancio tra i fondi rischi del passivo
Nel caso di specie, i giudici di merito erroneamente hanno considerato corretto il calcolo dell’imposta sul valore dell’immobile, dopo aver effettuato una divaricazione tra il prezzo pattuito nel quale considerare la suddetta componente negativa e il valore del bene, da escludere.

Conclusioni
L’avviamento negativo[1], è “la grandezza contabile che esprime l’inidoneità di un compendio aziendale a produrre futuri redditi adeguati e che, in conseguenza, corregge in diminuzione il valore contabile dell’azienda, esprimendo un’aspettativa di performances reddituali inferiori alla normalità e traducendosi, in definitiva, nella decurtazione di prezzo necessaria per scontare le perdite attese o le future mancate congrue remunerazioni”; si tratta di un’ipotesi in cui il capitale economico che rappresenta il valore di un’azienda è inferiore alla dimensione contabile del patrimonio netto di essa”.

La nozione di avviamento – priva di una definizione legislativa – è richiamata, in materia di bilancio di esercizio, dall’art. 2426, 1° comma n. 6 del cod. civ.; disposizione tuttavia circoscritta ad ammetterne l’iscrizione nei limiti del costo sostenuto per il suo acquisto, ed a disciplinarne le quote di ammortamento. In quanto elemento aziendale di rilevanza economico-patrimoniale, l’avviamento viene preso in considerazione anche dall’ordinamento tributario; così per affermarne il concorso alla formazione del reddito imponibile (art.86, 2° c. T.U.I.R.), ovvero per fissarne i limiti di ammortamento (art.103, 3° c. T.U.I.R.). Esso è poi espressamente considerato dall’art. 51, 4° co., D.P.R. 131/86; che ne contempla l’incidenza sulla determinazione, ai fini dell’imposta di registro, del valore venale dell’azienda trasferita; e, con ciò, della base imponibile.

L’avviamento viene identificato e descritto in termini di qualità intrinseca immateriale dell’azienda, di formazione plurifattoriale; qualità che di solito si concreta nel maggior valore che il complesso aziendale, unitariamente considerato, presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono (Cass. nn. 25324/14; 9115/12; 8642/11 ed altre); maggior valore, a sua volta correlato alla “capacità di profitto di un’attività produttiva”, ossia a quella “attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (e, in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l’utilizzazione isolata dei singoli elementi che la compongono” (Cass. 10586/11; Cass. 9470/95).[2] Nella determinazione della base imponibile dell’imposta di registro – l’esistenza di un avviamento incrementativo del valore dell’azienda trasferita ben può coesistere con la presenza di perdite di esercizio negli anni immediatamente precedenti o successivi al trasferimento stesso (Cass.22506/15; Cass.2702/02); ed anche che tale base imponibile può essere determinata non solo (in assenza di avviamento) in forza del “metodo patrimoniale semplice”, dato dalla somma di attività e passività patrimoniali, ma anche (in presenza di avviamento) in forza del “metodo patrimoniale complesso” che, integrando il primo, valorizza tutti i fattori che
9075/15). L’articolo 51, 4° c., D.P.R. 131/86, garantisce che l’imposta di registro venga applicata su una base imponibile il più possibile conforme al valore dell’azienda in condizioni di libero mercato; in essa trova rilevanza anche quell’avviamento che – avendo segno negativo – è dalle parti computato a riduzione del prezzo di cessione, il quale risulta in tal maniera inferiore – senza con ciò necessariamente rappresentare un valore non rispondente alla realtà ma, anzi, proprio per accostarsi alla più corretta valorizzazione di mercato – alla mera sommatoria algebrica di valore dei cespiti patrimoniali attivi e passivi costituenti l’azienda ceduta.

Una cosa sono le passività già prodottesi, rilevanti quali componenti patrimoniali negative incluse nella sommatoria di valore delle singole poste, ed altra le perdite future; invece rilevanti, sul piano tipicamente proiettivo dell’avviamento, per giustificare la pattuizione di un prezzo di cessione collimante con il valore venale, ancorché inferiore alla somma algebrica delle singole componenti aziendali, comprese le passività già conclamate. L’avviamento è una “qualità intrinseca” dell’azienda trasferita; sicché esso risulta idoneo ad influire sul valore di quest’ultima, tanto se positivo quanto se negativo.

Il principio-cardine della definizione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro è il valore attribuibile all’azienda, al momento del trasferimento, in regime di libero mercato. Valore che può risultare in effetti condizionato dall’aspettativa di risultati negativi negli esercizi immediatamente successivi al trasferimento (prima che la nuova gestione sia in grado di riportare in utile l’attività economica), e ciò in forza di una prognosi che assume dimensione economica nella negoziazione tra le parti di uno “sconto-prezzo” di misura tale da far apparire comunque conveniente l’acquisizione dell’azienda (transitoriamente) produttiva di perdite stimate. Ciò premesso, la considerazione dell’avviamento negativo nella fissazione del prezzo di cessione può rendere appetibili sul mercato – specie in contesti congiunturali – anche complessi aziendali prospettivamente improduttivi, nel breve periodo, di profitti, così da consentirne, con la cessione stessa, la sopravvivenza ed il recupero.

A riscontro dell’oggettività economica della previsione negativa, le perdite future – purché fondate, in quanto attese sulla base di fattori ragionevoli e verificabili – trovano evidenza nel bilancio del cessionario, mediante la predisposizione di un accantonamento in “fondo rischi ed oneri futuri” volto a far fronte a tali perdite, man mano che si concretizzeranno, e destinato ad essere azzerato una volta che l’aspettativa che l’ha generato sia venuta meno.

La rilevanza fiscale dell’avviamento negativo è stata riconosciuta dalla stessa amministrazione finanziaria (Risoluzione su interpello 25 luglio 2007 n. 184/E). Quando si discute di imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre quando si discute di una plusvalenza realizzata nell’ambito di un’impresa occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione; tuttavia, la nozione di avviamento negativo così individuata ha valenza generale, ed è appunto idonea ad interferire con la determinazione del “valore di mercato” del bene anche ai fini dell’articolo 51 D.P.R. 131/86.

Nel valore venale “insiste” l’avviamento negativo; la somma dei valori dei cespiti aziendali unitariamente considerati in contratto (fabbricati, terreni, arredi ed impianti, concessione mineraria ecc…) va ridotta proprio per la previsione di perdite negli esercizi immediatamente successivi, a causa del fatto che il ramo d’azienda è inoperativo da tempo; tale riduzione si concretizza nella pattuizione, in funzione di dichiarato allineamento con l’effettivo valore del compendio, di un corrispondente sconto sul prezzo di cessione. L’avviamento costituisce una componente del valore aziendale, non solo se positivo ma anche se negativo (perché correlato ad una sfavorevole aspettativa reddituale del compendio aziendale oggetto di trasferimento). L’avviamento è di fatto un componente del valore aziendale, e quindi ai fini dell’imposta deve essere considerato anche se negativo.

Isabella Buscema

19 marzo 2018

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CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 gennaio 2018, n. 979
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
1. La Nuova C. Srl propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 69/29/11 del 14 luglio 2011, con la quale la commissione tributaria regionale della Toscana, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo il diniego opposto dall’Agenzia delle Entrate all’istanza di rimborso di maggiore imposta di registro asseritamente versata sull’atto 11 dicembre 2007. Atto con il quale essa aveva acquistato un ramo d’azienda termale al prezzo complessivo dichiarato di euro 1.378.000,00, tenuto conto di un avviamento negativo (trattandosi di ramo aziendale inattivo da anni e suscettibile di perdite future) indicato in atto in euro 215.000,00.
Ha ritenuto la Commissione Tributaria Regionale, in particolare, che:

– correttamente l’imposta fosse stata applicata sul ‘valore’ dell’attivo patrimoniale (euro 1.593.000,00) e non sul “prezzo” scontato per l’aspettativa di future perdite (euro 1.378.000,00), avendo l’imposta di registro ad oggetto appunto il valore venale dell’azienda;

– correttamente l’ufficio avesse negato il rimborso, trattandosi di imposta autoliquidata in via telematica dal notaio rogante sul maggior importo di euro 1.593.000,00 emergente dall’atto; risultando del resto antieconomico che, come richiesto dalla società contribuente, l’ufficio rimborsasse l’importo così autoliquidato, per poi procedere all’accertamento di maggior valore per il medesimo importo.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

La società ricorrente ha depositato memoria.

2.1 Con il primo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360, 1A co. n. 3 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 43, primo comma, e 51 D.P.R. 131/86, nonché 3 e 53 Cost. Per avere la commissione tributaria regionale omesso di considerare che l’avviamento costituisce una componente del valore aziendale, non solo se positivo ma anche se negativo (perché correlato ad una sfavorevole aspettativa reddituale del compendio aziendale oggetto di trasferimento). Nel caso di specie, la sussistenza e quantificazione (euro 215.000,00) dell’avviamento negativo non erano state, di per sé, contestate dall’amministrazione finanziaria; tenuto anche conto che quest’ultimo era stato regolarmente iscritto, nel proprio bilancio al 31 dicembre 2007, tra i fondi rischi del passivo. L’interpretazione offerta dalla commissione tributaria regionale, inoltre, si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva, legittimando la tassazione di un bene per un valore eccedente quello reale.
Con il secondo motivo di ricorso la società lamenta – ex art.360, 1A co. n. 5 cod. proc. civ. – omessa, o comunque insufficiente, motivazione. Per non avere la commissione tributaria regionale adeguatamente esplicitato le ragioni per cui l’esistenza dell’avviamento negativo non avrebbe influenza sulla determinazione dell’effettivo valore del ramo aziendale; così come dalle stesse parti contraenti indicato, in atto, nel minor importo di euro 1.378.000.

2.2 Questi due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria per l’identità della questione giuridica ad essi sottesa, sono fondati.
La nozione di avviamento – priva di una definizione legislativa – è richiamata, in materia di bilancio di esercizio, dall’art. 2426, 1A comma n. 6) del cod. civ.; disposizione tuttavia circoscritta ad ammetterne l’iscrizione nei limiti del costo sostenuto per il suo acquisto, ed a disciplinarne le quote di ammortamento.

In quanto elemento aziendale di rilevanza economico-patrimoniale, l’avviamento viene preso in considerazione anche dall’ordinamento tributario; così per affermarne il concorso alla formazione del reddito imponibile (art.86, 2A co. T.U.I.R.), ovvero per fissarne i limiti di ammortamento (art.103, 3A co. T.U.I.R.).

Esso è poi espressamente considerato dall’art.51, 4A co., D.P.R. 131/86; che ne contempla l’incidenza sulla determinazione, ai fini dell’imposta di registro, del valore venale dell’azienda trasferita; e, con ciò, della base imponibile.

Si tratta, del resto, di nozione ampiamente ricorrente nella giurisprudenza di legittimità, la quale ne recepisce i contenuti così come elaborati dalle scienze economiche, contabili ed aziendalistiche.

In tale contesto, l’avviamento viene identificato e descritto in termini di qualità intrinseca immateriale dell’azienda, di formazione plurifattoriale; qualità che di solito si concreta nel maggior valore che il complesso aziendale, unitariamente considerato, presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono (Cass. nn. 25324/14; 9115/12; 8642/11 ed altre); maggior valore, a sua volta correlato alla “capacità di profitto di un’attività produttiva”, ossia a quella “attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (e, in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l’utilizzazione isolata dei singoli elementi che la compongono” (Cass. 10586/11, con richiamo di Cass. 9470/95).

Fermo restando che la sussistenza ed entità economica dell’avviamento costituiscono questioni di fatto devolute al giudice di merito (Cass.2204/06; Cass. 9075/15), si è specificato che – appunto nella determinazione della base imponibile dell’imposta di registro – l’esistenza di un avviamento incrementativo del valore dell’azienda trasferita ben può coesistere con la presenza di perdite di esercizio negli anni immediatamente precedenti o successivi al trasferimento stesso (Cass.22506/15; Cass.2702/02); ed anche che tale base imponibile può essere determinata non solo (in assenza di avviamento) in forza del “metodo patrimoniale semplice”, dato dalla somma di attività e passività patrimoniali, ma anche (in presenza di avviamento) in forza del “metodo patrimoniale complesso” che, integrando il primo, valorizza tutti i fattori che comportano plusvalenza da beni immateriali costituenti, nel loro complesso, l’avviamento stesso (Cass.9075/15 cit.).

2.3 Per quanto più specificamente concerne il problema di causa – relativo al corretto accertamento del valore del ramo aziendale ai fini dell’imposizione di registro – non può tuttavia non considerarsi come dall’articolo 51 cit. non possa trarsi alcun decisivo elemento per affermare che l’avviamento incida sul valore dell’azienda trasferita solo se, ed in quanto, di segno positivo.
Al contrario, essendo la norma finalizzata a garantire che l’imposta di registro venga applicata su una base imponibile il più possibile conforme al valore dell’azienda in condizioni di libero mercato (chè anche in ciò si attua, e certo non ultimo, il principio di capacità contributiva), si deve ritenere che in essa trovi rilevanza anche quell’avviamento che – avendo segno negativo – sia dalle parti computato a riduzione del prezzo di cessione.

Il quale risulterà in tal maniera inferiore – senza con ciò necessariamente rappresentare un valore non rispondente alla realtà ma, anzi, proprio per accostarsi alla più corretta valorizzazione di mercato – alla mera sommatoria algebrica di valore dei cespiti patrimoniali attivi e passivi costituenti l’azienda ceduta.

Non pare dirimente, in senso contrario, la circostanza che l’articolo 51, 4A comma cit., preveda – ai fini della stima del valore dell’azienda – la decurtazione delle sole passività già formatesi, e come tali risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa (salvo impegno di estinzione dell’alienante). Ciò perché, una cosa sono le passività già prodottesi, rilevanti quali componenti patrimoniali negative incluse nella sommatoria di valore delle singole poste, ed altra le perdite future; invece rilevanti, sul piano tipicamente proiettivo dell’avviamento, per giustificare la pattuizione di un prezzo di cessione collimante con il valore venale, ancorché inferiore alla somma algebrica delle singole componenti aziendali, comprese le passività già conclamate.

Questa interpretazione della norma in esame muove – per lettera e ratio legis – proprio dal dato interpretativo di fondo, costituito dal fatto che, come detto, l’avviamento è una “qualità intrinseca” dell’azienda trasferita; sicché esso risulta idoneo ad influire sul valore di quest’ultima, tanto se positivo quanto se negativo.

A sostenere la configurabilità di una autonoma nozione “fiscale” di avviamento – votata in via esclusiva alla positività – non potrebbe nemmeno giungersi in ragione dei criteri di determinazione dell’avviamento di cui all’art. 2, 4A co., D.P.R. 31 luglio 1996, n.460 (Regolamento per l’attuazione delle disposizioni previste in materia di accertamento con adesione, con riferimento alle imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria, catastale ed Invim; emanato ai sensi del D.L. 564/94 conv. in Legge 656/94).

Criteri, questi ultimi, che possono valere (sia nell’applicazione degli studi di settore, ovvero del moltiplicatore della percentuale di redditività; sia nella considerazione in termini, non di decurtazione né di azzeramento, ma solo di ridotta moltiplicazione, di taluni fattori documentati di minore redditività) a stimare l’avviamento “se”, ed “in quanto”, positivo; senza peraltro di per sé escluderne a priori l’emersione in negativo.

Ancorché tali parametri – di natura regolamentare – vengano utilizzati non solo nelle procedure di adesione (riviste dal d.lgs.218/87) ma anche negli accertamenti ordinari, la loro applicabilità ai fini dell’articolo 51 D.P.R. 131/86 trova obiettivo limite ogniqualvolta essi si rivelino inadeguati a soddisfare quello che è il principio-cardine della definizione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro; vale a dire, il valore attribuibile all’azienda, al momento del trasferimento, in regime di libero mercato.

Valore che può risultare in effetti condizionato dall’aspettativa di risultati negativi negli esercizi immediatamente successivi al trasferimento (prima che la nuova gestione sia in grado di riportare in utile l’attività economica); e ciò in forza di una prognosi che assume dimensione economica nella negoziazione tra le parti di uno “sconto-prezzo” di misura tale da far apparire comunque conveniente l’acquisizione dell’azienda (transitoriamente) produttiva di perdite stimate.

Sicché, la considerazione dell’avviamento negativo nella fissazione del prezzo di cessione può rendere appetibili sul mercato – specie in contesti congiunturali – anche complessi aziendali prospettivamente improduttivi, nel breve periodo, di profitti; così da consentirne, con la cessione stessa, la sopravvivenza ed il recupero.

A riscontro dell’oggettività economica della previsione negativa, le perdite future – purché fondate, in quanto attese sulla base di fattori ragionevoli e verificabili – trovano evidenza nel bilancio del cessionario, mediante la predisposizione di un accantonamento in “fondo rischi ed oneri futuri” volto a far fronte a tali perdite, man mano che si concretizzeranno; e destinato ad essere azzerato una volta che l’aspettativa che l’ha generato sia venuta meno.

Questa corte di legittimità – sebbene con riguardo a diverse imposizioni – ha già avuto modo di occuparsi specificamente della nozione di avviamento negativo (Cass. 16957/16), definendolo come “la grandezza contabile che esprime l’inidoneità di un compendio aziendale a produrre futuri redditi adeguati e che, in conseguenza, corregge in diminuzione il valore contabile dell’azienda, esprimendo un’aspettativa di performances reddituali inferiori alla normalità e traducendosi, in definitiva, nella decurtazione di prezzo necessaria per scontare le perdite attese o le future mancate congrue remunerazioni”; ulteriormente precisando che “si tratta di un’ipotesi in cui il capitale economico che rappresenta il valore di un’azienda è inferiore alla dimensione contabile del patrimonio netto di essa”, concludendosi quindi che “il “badwill” identifica una qualità intrinseca del compendio aziendale, perché ne esprime la futura iporedditività; esso non può emergere contabilmente che dall’operazione che trasferisca l’azienda, di guisa che lo si è definito come grandezza esogena, perché presuppone un’operazione negoziale con un soggetto terzo”.

Va poi detto che la rilevanza fiscale dell’avviamento negativo è stata riconosciuta dalla stessa amministrazione finanziaria; e ciò in termini sostanzialmente rispondenti alla definizione che di esso è data nei principi contabili internazionali recepiti dall’ordinamento (IAS 22 § 59 sulle aggregazioni di imprese), secondo cui: “L’eventuale eccedenza, alla data della compravendita, della quota di partecipazione dell’acquirente nel fair value (valore equo) delle attività e passività identificabili acquisite rispetto al costo dell’acquisizione, deve essere rilevata come avviamento negativo”.

Già nella Risoluzione su interpello 25 luglio 2007 n. 184/E, l’amministrazione finanziaria pose in luce i seguenti essenziali passaggi: a. l’avviamento negativo “è dato dalla differenza tra il patrimonio netto del ramo d’azienda oggetto della compravendita ed il valore economico, che si sostanzia nel prezzo d’acquisto, attribuito al medesimo complesso aziendale”, di tal che, “quando il prezzo di acquisto di un compendio aziendale è inferiore al valore netto contabile del patrimonio ad esso riferito, la differenza tra questi due valori (prezzo e patrimonio) genera un cd. “avviamento negativo”, che deve essere correttamente contabilizzato ed esposto nel bilancio dell’acquirente”; b. la “motivazione più razionale” che può indurre all’acquisizione di un’azienda con avviamento negativo, o “disavviamento”, è correlata alla previsione di perdite future delle quali l’acquirente dovrà farsi carico subito dopo l’acquisizione stessa, ma nel concorso di fondate prospettive di inversione della tendenza negativa; c. le perdite attese ridurranno “il valore del patrimonio aziendale successivamente all’operazione, riducendo pertanto il prezzo che l’acquirente è disposto a pagare per ottenere la proprietà del bene- azienda”, in modo tale che la quantificazione preventiva delle perdite “rileva come uno ‘sconto’ sul prezzo pagato per il ramo d’azienda”-, d. deve ritenersi civilisticamente corretto che l’avviamento negativo emergente in sede di acquisizione del ramo aziendale sia allocato in un “fondo rischi ed oneri futuri” del passivo dello stato patrimoniale del bilancio dell’acquirente; e. fiscalmente, il regime di tassazione dei fondi rischi ed oneri è però disciplinato dall’art. 107 del T.U.I.R., ai sensi del quale “sono deducibili, nell’esercizio in cui vengono accantonati, esclusivamente gli accantonamenti sui fondi espressamente considerati dalle disposizioni dello stesso T.U.I.R.”, non rientrando tra questi ultimi quello in oggetto; f. posto dunque che il trattamento fiscale del fondo non è inquadrabile nella disciplina di cui all’articolo 107 cit., deve ritenersi che esso “segua – per il “principio di derivazione” di cui all’art. 83 del TUIR – l’utilizzo contabile del fondo stesso. La società acquirente, quindi, negli esercizi immediatamente successivi all’acquisizione, utilizzerà il fondo per fronteggiare le perdite che si sosterranno, ovvero provvederà ad estinguerlo qualora le originarie previsioni di perdita (…) non siano più fondate; in entrambi i casi attraverso la rilevazione di un provento straordinario fiscalmente rilevante, imputato a conto economico”) g. in definitiva, “Il fondo rischi generici dovrà concorrere sistematicamente, fino al suo esaurimento, alla formazione del reddito a compensazione dei componenti negativi di qualsiasi natura (nella misura in cui eccedano i componenti positivi), conseguiti nell’arco temporale delineato dal piano e dovrà rimanere effettivamente correlato alle perdite previste senza poter divenire strumento di pianificazione fiscale o, comunque, di utilizzo arbitrario”.

Ora, se è vero che tale risoluzione non si riferisce specificamente all’imposta di registro, ma all’imposta sul reddito, e che – come già affermato da questa corte (Cass. 23608/11 ed altre) – “/ principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda dell’imposta che si deve applicare, sicché quando si discute di imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre quando si discute di una plusvalenza realizzata nell’ambito di un’impresa occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione altrettanto indubbio è che la nozione di avviamento negativo così individuata ha valenza generale, ed è appunto idonea ad interferire con la determinazione del “valore di mercato” del bene anche ai fini dell’articolo 51 D.P.R. 131/86. Tanto più considerato che si ammette, in linea di principio, che il valore di mercato del bene determinato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro possa rilevare, anche se soltanto come dato induttivo e presuntivo, pure ai fini dell’accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di un ramo d’azienda (Cass. 5070/11; Cass. 5078/11; Cass.4057/07).

2.4 Da tutto ciò si evidenzia l’errore nel quale è incorsa la commissione tributaria regionale nella sentenza qui impugnata, la quale ha – da un lato – riconosciuto che l’avviamento negativo non era fittizio, ed aveva realmente influenzato il prezzo fissato dalle parti “tant’è vero che questa somma (euro 215.000,00) è stata portata in detrazione dal prezzo” (sent. cit.); ma – dall’altro – ha poi divaricato il “prezzo” dal “valore” del ramo aziendale, assumendo che, ai fini dell’imposta di registro, solo quest’ultimo avesse rilevanza.
Senonchè, tale divaricazione non aveva in pratica ragion d’essere, una volta chiarito che: – nel valore “insisteva” l’avviamento; – quest’ultimo era negativo, posto che la somma dei valori dei cespiti aziendali unitariamente considerati in contratto (fabbricati, terreni, arredi ed impianti, concessione mineraria ecc…) era stata ridotta proprio per la previsione di perdite negli esercizi immediatamente successivi, a causa del fatto che il ramo d’azienda era inoperativo da tempo; – tale riduzione si era concretata nella pattuizione, in funzione di dichiarato allineamento con l’effettivo valore del compendio, di un corrispondente sconto sul prezzo di cessione.

E tutto ciò in una situazione nella quale l’amministrazione finanziaria si era limitata ad eccepire l’irrilevanza “in diritto” dell’avviamento negativo, senza contestare specificamente – a sostegno della legittimità del proprio diniego di rimborso – l’effettiva sussistenza di quest’ultimo ovvero la sua entità, così come dichiarata in atto dalle parti.

3.1 Con il terzo motivo di ricorso la società deduce – ex art. 360, 1A co. n. 3 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 3 ter D.Lgs. 463/97 e 77 D.P.R. 131/86. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente escluso la facoltà della società di chiedere il rimborso, nonostante che quest’ultima fosse prevista in via generale dall’articolo 77 § 3.2. II motivo, concernente la legittimazione alla richiesta di rimborso, è inammissibile sia per mancata individuazione dell’esatta ragione decisoria del giudice di appello, sia per carenza di interesse.
Il difetto di attinenza al decisum sta nel fatto che la commissione tributaria regionale non ha per nulla affermato che la circostanza che l’imposta fosse stata autoliquidata e versata, con procedura telematica, dal notaio rogante ai sensi del d.lgs. 463/97 privasse la società contribuente della legittimazione a chiederne il rimborso.

Il giudice di appello si è invece limitato (nell’ottica di effettiva debenza della maggiore imposta erroneamente autoliquidata dal notaio) a definire “antieconomica” la tesi della società ricorrente, secondo cui l’ufficio avrebbe comunque dovuto procedere alla restituzione dell’imposta eccedente (rispetto a quella dovuta sul prezzo scontato ed emergente dall’atto) e, se mai, poi procedere autonomamente alla rettifica in aumento, il che, a ben vedere, è cosa ben diversa dal negare la legittimazione al rimborso direttamente in capo alla società.

Legittimazione comunque pacificamente sussistente, attesa l’applicabilità nella specie, non già dell’art.3 ter D. Lgs. cit. (escludente la legittimazione al rimborso “del notaio”, in quanto ammesso al regime di compensazione su quanto complessivamente autoliquidato), bensì dell’art. 77 D.P.R. 131/86; secondo cui il rimborso dell’imposta e degli accessori deve essere richiesto proprio “dal contribuente”, in quanto parte sostanziale dell’atto registrato e soggetto inciso dall’indebito prelievo d’imposta (Cass. 12759/16; Cass. 5016/15).

Né la commissione tributaria regionale ha posto in discussione il principio per cui l’erronea autoliquidazione, da parte del notaio, di un’imposta superiore a quella dovuta per legge non esime di per sé l’amministrazione finanziaria dal rimborso dell’eccedenza.

4. In definitiva, la sentenza va cassata in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, ed in forza del seguente principio di diritto: nella determinazione del valore venale dell’azienda trasferita ai fini dell’imposta di registro, l’avviamento – in quanto qualità aziendale intrinseca richiamata dall’art art. 51, 4° c., D.P.R. 131/86 – rileva non solo se positivo ma anche se negativo; ed abbia, in quanto tale, determinato la pattuizione tra le parti di un prezzo di cessione inferiore al valore patrimoniale netto dei cespiti aziendali, perché scontato in ragione della fondata previsione di perdite future e del solo successivo recupero di redditività dell’azienda stessa.
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, né sono state dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., mediante accoglimento del ricorso introduttivo della società contribuente.

Vista la novità e delicatezza della questione interpretativa, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese di legittimità e merito.

P.Q.M.

– accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., accoglie il ricorso introduttivo della società contribuente;

– compensa le spese processuali di legittimità e merito.

[1] L’avviamento negativo o badwill è la grandezza contabile che esprime l’inidoneità di un compendio aziendale a produrre futuri redditi adeguati e che, in conseguenza, corregge in diminuzione il valore contabile dell’azienda, esprimendo un’aspettativa di performances reddituali inferiori alla normalità traducendosi nella decurtazione di prezzo necessaria per scontare le perdite attese e le future mancate congrue remunerazioni. Si tratta di un’ipotesi in cui il capitale economico che rappresenta il valore di un’azienda è inferiore alla dimensione contabile del patrimonio netto di essa. Il badwill non può emergere contabilmente che dall’operazione che trasferisca l’azienda. Di talché è una grandezza esogena perché presuppone un’operazione negoziale con un soggetto terzo. Orbene, l’avviamento negativo connesso alla previsione di perdite e costi futuri identificati nel programma di acquisizione dell’acquirente e quantificabile in modo attendibile deve essere rilevato come provento nel conto economico dell’esercizio in cui i costi e le perdite sono rilevati (Cass. civ. Sez. V, 11-08-2016, n. 16957).

[2] In tema d’imposta di registro su cessione di azienda, l’esistenza di un valore di avviamento, costituente oggetto di un giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, non può essere esclusa sulla base della sola circostanza che l’impresa abbia subito delle perdite negli esercizi degli anni precedenti e di quelli successivi (Cass. civ. Sez. V, 04-11-2015, n. 22506).